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Il Trofeo Nuti visto da Silia  [dal sito www.velaalterzo.it]

Vento
di Silvio Testa

Questa volta sono soddisfatto! Silia, la sanpierota che ha sostituito il mio topo Risorta (ma non nel cuore: lì stanno assieme), nel Trofeo Nuti mi ha dato le soddisfazioni che speravo, e anzi alla fine mi è anche rimasto un po' di amaro in bocca per il pur buono decimo posto assoluto finale (ahimè, solo quarto di categoria...).

L'ho varata il 18 di gennaio nello squero dei fratelli Vidal di Burano, su mio progetto tradotto poi sulla carta con l'insostituibile aiuto di Renzo Giuponi. Avevo in testa delle proporzioni, maturate dopo aver misurato assieme a Lia, la mia compagna, decine e decine di sanpierote: che Dio le renda merito per la sua pazienza. Ero andato da Piero Menetto, a Pellestrina, ma ero rimasto poco convinto: credo che le sue linee non siano più quelle di un tempo, perché la committenza per lo più motorizzata lo ha portato via via a fare barche sempre più tozze. E la vaghezza delle sue risposte alle mie domande (a una tal lunghezza, che larghezza corrisponde? e la larghezza massima a che punto cade della barca? e coincide con la massima larghezza del fondo? E qual è la progressione del cavallino?) mi ha spinto a scegliere un'altra strada.
Nel frattempo, avevo trovato una vecchia sanpierota che all'incirca, seppur piccolina, rispecchiava quel che avevo in testa: è quella grigio - celestina ormeggiata nel rio delle Gorne, nei pressi della Porta dei Leoni dell'Arsenale. Era di un vecchio pescatore di Pellestrina, morto qualche anno fa, Mario Pazienza, e molti a Castello ne ricordavano le prestazioni, soprattutto a remi. Grazie al mio amico Palmiro Fongher ne ho rintracciato i figli, e Corino, uno di questi, mi ha prestato la sanpierota, per prenderne tutte le misure. Cosa che ho fatto nello squero Tramontin, con l'aiuto di Nedis e Roberto.
A quel punto, le ho sviluppate per portare la sanpierota da 6 metri ai 6.70 che avevo in mente, e ho apportato alcune modifiche: ho allargato leggermente la maistra di poppa, per dare più stabilità, ho abbassato di qualcosa il cavallino a poppa, per dare più portanza, ho dato una freccia di un centimetro e mezzo alle piane, arrotondandole perché credo che a vela sia più produttivo, ho dato una linea un po' diversa all'opera morta, anche se poi in sede di cantiere abbiamo sbagliato: la prua è venuta più alta di quanto avessimo previsto, perché il primo cerchio, una volta impostato, ci è parso avere una linea più elegante. A terra, ma in acqua è un'altra cosa! Ora, però, quella prua così orgogliosa comincia a piacermi, e col moto ondoso, credetemi, torna davvero buona, mentre non patisce il vento.
Coi Vidal, poi, è stato un incontro piacevolissimo: sono tre fratelli appassionati del loro lavoro, e davvero bravi anche se su certe barche non hanno tradizione. Ma hanno testa e mestiere, amano la costruzione in legno, hanno capito che il nostro può anche essere un mercato, e ci hanno dato dentro con rovere e larice. Alla fine, il risultato mi ha soddisfatto.
Inizialmente, invece, ero rimasto un po' deluso dalle prestazioni veliche, anche se ora credo di poter dire che andavano imputate non alla barca ma alla mia nulla esperienza sulle sanpierote. Topi e sanpierote sono due cose diverse e, senza contare il poco tempo che ho avuto per cercare di mettere a segno le manovre (con una bella vela di Gianni Naccari, di cui prima dell'ultima regata e su suo consiglio ho modificato l'inferitura), ci ho messo un po' a capire le differenze, almeno credo...
Non so se dico un'eresia, ma la sanpierota richiede un equipaggio. Mi spiego: in topo potevo andare anche da solo, alla peggio rinunciando alla trinchetta o al fiocco, ma in sanpierota ciò è molto più penalizzante, perché il peso del solo timoniere in una barca molto larga al centro e comunque stretta a poppa non compensa la forza del vento. La barca, soprattutto di bolina, si corica molto e cammina meno di quanto potrebbe, senza contare la necessità di sventare o di terzarolare.
Domenica ho gareggiato proprio così, e per questo mi è rimasto un po' di amaro in bocca. Sabato sera l'equipaggio era di tre: io, Lia, mio figlio Nicolò con cui da tempo faccio coppia fissa. La mattina della regata, invece, mi hanno entrambi mollato come una spia: malesseri vari. E io, mesto, mi sono avviato sul campo di regata, e per di più a remi, alla valesana, perché tre settimane fa il motore ha quasi tirato gli ultimi. Fossimo stati in tre, sono sicuro che sarei andato meglio: quantomeno avrei potuto tirare su il fiocco, mentre ho fatto tutta la regata con la sola randa.
In partenza mi sono accorto subito che la barca andava: avevo alzato la vela modificando l'attacco della patta di bolina e avevo spostato il turbante, e stavo dietro a Pietro Fabris senza troppa difficoltà. Ho perso strada solo sul primo lungo bordo verso Murano, per le ragioni che dicevo prima e perché ho patito molto le onde, ma in poppa ho recuperato anche se non potevo aprire bene la vela perché, avendo messo un secondo bozzello doppio, la scotta mi era diventata corta. Ma sulla bolina del secondo triangolo ho pensato di lasciar correre di più la barca, poggiando un po', e credo di aver fatto bene. Se ho sbagliato, è perché ho tirato troppo lungo il bordo, come Borin di Mattiello. Mi era parso che chi aveva virato prima non riuscisse ad andare in boa (da lontano vedevo bene Fabris e Marmotta), ma non avevo calcolato che alla fine la dosana li avrebbe aiutati. Alla fine, invece che una bolina ho fatto un bel lasco, anche qui sventando ogni spesso, ma Silia filava che era un piacere.
Alla boa tre ho girato nono, e sull'ultima poppa mi è parso d'aver guadagnato qualcosa su chi era avanti, anche se alla fine Salsola di Barbini mi ha passato. Solo alla fine abbiamo entrambi capito di essere in categorie diverse, e mi sono rilassato, ma ho sbagliato perchè poi Barbini ha finito per passare Soravento, e se avessi tenuto duro magari l'avrei fatto anch'io, finendo terzo al posto di Roberto Ginetto.
Silvio Testa