Aveva
sempre pensato che sarebbe morto in squero, e invece si
è spento a 83 anni al Policlinico San Marco, a Mestre.
C'è alle volte una perfida ironia in certi accadimenti,
ma nel caso di Nedis Tramontin che se n'è andato ieri
all'alba, dopo un ricovero iniziato alla vigilia di
Natale al Civile per quello che eufemisticamente si dice
"un brutto male", non è così.
In questa morte di là del ponte c'è anzi una grande
valenza simbolica, perché Venezia Nedis non la
riconosceva più, e dunque morirvi o morire a Mestre non
deve avergli fatto gran differenza.
Certo, in squero agli Ognissanti sarebbe stato diverso,
ma a casa - perché da quando aveva 12 anni la vera casa
di Tramontin è stata il cantiere - ormai non muore più
nessuno, e così a Nedis è toccato per destino di
morire straniero in patria.
Era un
grande rompicoglioni, su questo converranno tutti coloro
che l'hanno conosciuto, un baruffante goldoniano d'altri
tempi, ma per l'appunto un grande. Il più grande.
Neppure maestro d'ascia, perché era cresciuto
all'università della gondola e non era in grado di
immaginare che qualcuno lo potesse giudicare. «Prima -
diceva - ghe fasso mi l'esame». Mai partecipato a un
appalto del Comune. «Xè lori - spiegava - che dovaria
savèr dove che stago».
Non è
un caso che Soprintendenza Archeologica e Consorzio
Venezia Nuova abbiano chiamato lui per un consulto sulla
galera di San Marco in Boccalama, e quel giorno Nedis si
mise a sguazzare nel fango felice come un bambino nel
vedere nello scheletro trecentesco le stesse tecniche
costruttive e gli stessi legni delle sue gondole. Con
lui, che per il suo lavoro non usava neppure il metro,
ma ancora il "passetto" veneto coi "pìe"
e con le "once", che non aveva progetti o
disegni ma solo i "sesti", che adoperava
ancora il "cantier" sagomato nel 1884 dal
nonno Domenico, che non ha lasciato nulla di scritto ma
che come un Omero ha tramandato tutto a voce al figlio
Roberto, con lui è definitivamente morto l'Arsenale.
Fino a
ieri una cultura costruttiva plurisecolare viveva ancora
in un angolo di Venezia, da oggi si rischia che non sia
più così: compensati, colle, "lài" delle
gondole ottenuti non sagomando fondo e fianchi ma
drizzando le ordinate e tagliando la coperta prenderanno
sempre più piede. Dire così, però, nasconde un errore
di prospettiva: Nedis, infatti, era rimasto l'ultimo
Arsenalotto certo per scelta personale e consapevole, ma
anche perché così ha decretato la committenza, ovvero
i gondolieri.
Se la
categoria dei "pope", che si dicono i veri
difensori della venezianità, avesse sempre preteso la
qualità e la purezza della tradizione, i Nedis
sarebbero stati infatti dieci, cento, mille. Guardando
una serenata di gondole in Canal Grande vien da dire,
invece, che forse ce n'era uno di troppo! «Carretti
siciliani», diceva Nedis riferendosi alle gondole dalla
pompa sempre più invasiva, ai "cimieri" da
testiera da letto, magari in plastica, ai cavalli in
vetroresina dipinti in porporina.
«Scoassere»,
aggiungeva, contando le ruote da Vespa usate come
parabordi, i pendagli e i cordami in plastica nera da
albero di Natale. Per non parlare dei ricci da poppa
tagliati. E si riferiva solo all'apparenza, mentre sulla
sostanza parla il pezzo che pubblichiamo a lato: voleva
essere una lunga lettera, è diventato l'inizio
incompiuto del testamento professionale di Nedis, ma
dice tutto. Dunque, che i gondolieri si tengano quel che
vogliono, ma ci pensino bene, perché quando una cosa è
persa è persa, e indietro non si torna. Se questo è il
"mercato", il futuro è segnato.
Nella
sua complessità, Nedis era un semplice, e la sua
ricetta era tacitiana: «Torniamo all'antico, e sarà
progresso». Senza sfumature, senza mezze misure. Moto
ondoso? «Vaporetti a remi», rispondeva per paradosso,
sottolineando che Venezia è tale perché è Venezia, e
che dunque chi vuole venirci vi si deve piegare. «Quanto
ghe se mète da Piazal Roma a San Marco - diceva -?
Un'ora! No te sta ben? Sta a casa tua»! I troppi
banchetti di ambulanti, i plateatici a fisarmonica? «Ghe
mando la Celere», si infervorava, certo cresciuto in
una dura scuola che riconosceva l'Autorità, ma
legittimata da due cardini: competenza e schiena dritta.
In una
Venezia così, quale dura eredità ha il figlio Roberto!
Ma che egli vi sia all'altezza non dovrebbe essere solo
un suo interesse personale. I funerali di Nedis
Tramontin si svolgeranno martedì prossimo alle 11,
nella Chiesa dei Carmini.
Silvio
Testa
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