IL
GAZZETTINO edizione Nazionale
Venezia, nell’isola spuntano
i resti di una "donna vampiro"
Al
Lazzaretto Nuovo scoperto uno scheletro con un mattone tra i denti
Sabato
7 Marzo 2009,
di Paolo Navarro Dina
Niente a che vedere con il conte
Dracula e tantomeno con Nosferatu. Niente di niente. Ma di mezzo c’è
una donna, anzi una "donna vampiro" sepolta e riportata alla
luce durante gli scavi nell’isola del Lazzaretto Nuovo, un pezzetto
di terra immerso nella laguna nord
di Venezia e che
, soprattutto alla metà del Cinquecento diventò in parte camposanto
per i morti della peste.
Ed è qui
che si sviluppa, quasi fosse una trama alla Indiana Jones, la storia
del rinvenimento di uno scheletro appartenente a una donna, di 60 anni
circa, alta 1.60-1.65, in posizione supina e con le braccia lungo il
corpo.
È stato ritrovato con un mattone
in bocca come fosse stata "impalata" (il termine si usa
anche in questo caso) per impedire ogni movimento alle mandibole. Il
corpo ritrovato ha permesso così agli studiosi di ipotizzare che,
stante le usanze indotte dalla superstizione medioevale (il periodo
dovrebbe essere compreso fra ’400 e ’500), potesse trattarsi di
una cosiddetta "donna vampiro".
A fare
la scoperta Matteo Borrini
, docente del dipartimento di Scienze antiche dell’Università di
Firenze, esperto di archeologia forense e antropologia fisica, che
dalla fine dal
2006 ha
condotto una serie di scavi e approfondimenti con un pool di
ricercatori tra i quali la sezione veneziana dei Gruppi archeologici
d’
Italia e altre
organizzazioni di settore («Non sarebbe male che ora ci arrivassero
anche un po’ di fondi per continuare»). Proprio in questi giorni,
dopo aver illustrato la sua ricerca nel maggio scorso in un convegno
di settore a Firenze, Borrini ha presentato il suo studio a Denver,
negli Stati Uniti, durante i lavori dell’American Academy of
Forensic Sciences.
«L’idea che questa donna fosse una
vampira - spiega Borrini - è probabilmente dovuta alle fasi di
decomposizione del cadavere che, all’occhio dei becchini del tempo
che riempivano le fosse comuni dei morti appestati, continuava ad
avere una propria fattezza umana. La decomposizione provoca nella
salma una serie di trasformazioni: i gas contenuti in corpo gonfiano
l’addome; la pressione di essi, assieme all’effetto della
macerazione delle carni e degli organi interni, provocano delle
emorragie che, di conseguenza, comportano delle fuoriuscite di sangue
dal naso e dalla bocca».
«Ed è a questo punto - osserva il
ricercatore - che nasce e si sostanzia la "leggenda". Questa
donna, con ogni probabilità, risultava non decomposta nella tremenda
fase dell’inumazione dei cadaveri degli appestati, tanto che nei
seppellitori deve essersi venuta a creare la consapevolezza che,
proprio il suo gonfiore, fosse dovuto al fatto che "bevesse"
e si nutrisse del sangue degli altri morti. Ed ecco quindi che a poco
a poco si è venuta a creare la figura dei "non morti"
ovvero dei vampiri che, dopo essersi nutriti del sangue altrui,
sarebbero potuti uscire fuori dalla tomba e contagiare con la peste
altre persone».
E quindi il mattone in bocca doveva
servire per mettere a freno psicosi collettive che avrebbero potuto
traumatizzare ancor di più la gente già condannata o terrorizzata
dalla peste. «Per questo - aggiunge Matteo Borrini - gli addetti alla
sepoltura degli appestati inserivano un mattone nella bocca di questi
morti "sospetti", in modo che non potessero più riaprirla».
Ma quello che interessa al docente
fiorentino non è solo l’aspetto scientifico, quanto quello
antropologico. «Nell'Europa del XVII secolo - spiega il ricercatore -
era diffusa la credenza che ci fosse uno stretto rapporto tra epidemie
e vampiri, e in particolare tra pestilenza e un tipo di vampiro, il
"nachzehrer" ovvero il masticatore di sudario, o divoratore
della notte, "apparso" per la prima volta in Polonia attorno
al Trecento.
In sostanza si credeva che la salma,
avvolta nel sudario, fosse in realtà ancora vivente, perchè
"masticava" le parti del tessuto usato per la sepoltura in
corrispondenza della bocca, per poter così succhiare il sangue
altrui. É evidente che tutto ciò era dovuto invece esclusivamente
agli acidi sprigionati dalla decomposizione».
Paolo Navarro Dina
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