giovedì 17
dicembre 2009
aula Tafuri, Palazzo Badoer, San Polo 2468
Venezia
Alcuni anni fa quando
abbiamo iniziato ad utilizzare l’espressione territori
lenti ci sembrava e ci sembra a maggior ragione oggi, che
ambiti consistenti del territorio italiano non potessero più essere
descritti, pensati, governati con il binomio territorio in crescita/in
ritardo e neppure con altre tradizionali immagini geografiche che nel
migliore dei casi riescono ad illuminare solo qualche aspetto di
questi contesti territoriali: le immagini della "provincia"
italiana, della città media o della città d’arte, contrapposte
allo spazio metropolitano, dell’area di sviluppo rurale, dei
distretti del turismo culturale contrapposte alle aree di sviluppo
industriale e ai distretti forti del turismo.
La lentezza
evoca per questi contesti non un ritardo, il sottosviluppo,
ma un diverso movimento, come quello periodico del livello del lago e
delle sue onde quasi silenziose ed arrotondate. La lentezza
richiama una attenzione alle pratiche dell’abitare e del
lavoro, alla vita quotidiana rispetto ai grandi aggregati delle
analisi socio-economiche ed urbanistiche. La lentezza
evoca anche una attitudine del nostro sguardo, una volontà
di rimanere certamente non indifferenti, ma comunque a qualche
distanza dal veloce diluvio di immagini geografiche, urbanistiche
sociologiche, economiche della globalizzazione, della
flessibilizzazione, della dematerializzazione, della
despazializzazione, dell’inevitabile imporsi dello spazio di flussi
e pure, sia detto con chiarezza, dai tentativi di reinvenzione di un
"locale" e di un solo "spazio di contatto" che ad
essi si oppongono,
radicalmente e volontaristicamente.
I paesaggi
della lentezza mettono in luce ambienti a bassa densità
dell’edificato e della popolazione, ma comunque investiti da
dinamiche residenziali, da un particolare sviluppo commerciale, da una
presenza turistica e/o industriale congiunta. Territori fortemente
caratterizzati da un paesaggio agrario sempre meno univocamente
definito, dove una serie di attività settorialmente differenti si
intrecciano dando luogo a miscele paesistico-insediative che non
comportano, almeno per ora, fatti urbani particolarmente evidenti, ma
piuttosto processi di lenta metamorfosi interna. Lontani dall’essere
immobili ma connotati da un movimento a basso numero di giri, questi
territori mutano attraverso piccoli eventi spaziali, attraverso
metamorfosi di significato, di forme relativamente stabili, invisibili
nelle consolidate immagini interpretative che qui sembrano perdere
ogni valenza euristica. Frequentare territori lenti porta
a incontrare strane
storie di soggetti che rimangono radicati in un ambiente
costitutivamente vario e plurale, urbano e rurale, turistico e
industriale, agricolo e residenziale. E da esso riescono a prendere
nuovo impulso e nuova vitalità. Le risposte sociali, istituzionali e
progettuali sono spesso incerte e non sempre pienamente rispondenti,
ad esempio, alle sfida della multifunzionalità dell’agricoltura o a
quella del contenimento del consumo dei suoli agricoli. Eppure in
questo scenario vi sono virtù e sperimentazioni che stanno emergendo
e che possono correggere la rotta. |
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