…dal 1962 con la vela al
terzo.
di
Michele Dissera Bragadin
Siamo nel lontano, anzi, lontanissimo
1962, avevo 5 anni, quando mio padre Giorgio, nel mese di Marzo, portò
a casa uno splendido esemplare di topeta “da
vea” progettata e costruita con linee filanti, come voleva lui
(non furono fatti esemplari simili), presso il cantiere Amadi Vittorio
di Burano.
Prima di essa avevamo un meraviglioso classe 5,50 in legno
a lustrofin, ma la famiglia
si stava allargando perché nacque il quinto fratello Marco e quindi
bisognava cambiare con uno scafo più formato famiglia.
Splendida!!! Battezzata “Anita”,
come il nome della mamma! Coperta in ‘lustrofin’
e scafo celestino chiaro con riga bianca sul sottofalca, bellissima!
Venne presto armata al terzo, vela in cotone “de
bombaso” di 12mq circa, confezionata in casa dalle mani d’oro
della mamma.
Così papà ci teneva per farci conoscere i segreti e le
meraviglie della laguna senza snaturare tutto con l’ausilio degli
allora puzzolenti e fumosi motori a miscela.
All’epoca non
esistevano grandi fuoribordo, avevamo un Bucaneer 3Hp credo, che si è
subito rivelato insufficiente e poco affidabile con barca a pieno
carico quando si andava in spiaggia a S.Erasmo o Bacàn.
Fu quasi
subito sostituito da uno più moderno, un nuovo Evinrude
5,5Hp.
Magnifico!!! Profilo a freccia, ‘na bestia!!!
Volli subito imparare
tutto, portare il motore, vogare e veleggiare ma ero troppo piccolo.
Allora, quando si andava a motore, tenevo l’acceleratore assieme a
lui, quando vogava mettevo le mani sullo stesso remo avvertendo già
il movimento, quando si veleggiava gli correvo accanto per tenere il
timone insieme.
Quando fui più grandicello, papà mi fece fare un
remo “da puteo” per
vogare e lì ho imparato a tenerlo in forcola, ma la vela era il mezzo
che più mi affascinava perché volevo capirne il magico
funzionamento.
Con lui al timone tutto funzionava "come un'orologio" e
stavo lì con la mano al timone accanto alla sua a ‘robar
co l’ocio’, per poter un giorno imitarlo.
Qualche sera d’estate, oltre ai fine
settimana obbligatoriamente in barca con tutta la famiglia, papà mi
portava con lui facendo rotta verso le Vignole ‘per
andar a tor un geatin’ diceva.
Appena guadagnata la secca,
rigorosamente a remi, al di là del canale delle Fondamente Nove, mi
metteva al timone mentre lui si distendeva a prua e con sbracciate, a
destra e a manca, mi indicava l’orza e la poggia…che meraviglia!
Sento ancora negli orecchi i suoi comandi, orza!... poggia!... cazza!... allasca!... prendi un punto di riferimento
e sta ‘tento che eà xe seca!...
Poi, quando tutto era a segno,
si metteva a cantare e questo mi dava conforto perchè voleva dire che
stavo andando bene …mi stavo guadagnando el
geatin!
A forza di dài, ecco che il nuovo “velista” di
famiglia cominciò a muovere i suoi primi passi avvertendo tutte
quelle sensazioni che la barca ti trasmette attraverso l’andatura e
le regolazioni insegnatemi da papà. E’ stata la miglior scuola al
mondo!
Cominciò così la mia variegata
“carriera”, una passione ed un modo di vivere il mare e la laguna
che non mi ha mai abbandonato.
Esperienze poi cresciute da una lunga
serie di navigazioni e regate con le più disparate tipologie di
imbarcazioni, dalle derive ai cabinati d’altura, ma la passione per
la barca in legno tipica con vela al terzo è sempre rimasta nella mia
anima, impressa da ciò che mi ha fatto nascere uomo di mare.
Pur avendo partecipato a regate, anche
di un certo livello, con le imbarcazioni tipiche ho maturato le più
grandi soddisfazioni personali. In particolare una nel 1989 in cui,
con la mia inseparabile fiocchista, mia moglie Caterina, fummo
premiati a bordo della Nave Scuola Amerigo Vespucci
come primi
classificati di categoria e assoluti del prestigioso ‘Trofeo
Pagan’.
L’Ammiraglio della nave e mio padre, allora presidente
della LNI sezione di Venezia, ci consegnarono l’ambitissimo premio.
In quel momento percepii la sensazione come se papà mi passasse il
testimone, con onore ed orgoglio infinito per entrambi. Sicuramente un
ricordo indelebile!
E la storia continua...
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