CORRIERE
DEL VENETO
6 dicembre 2013
La Laguna «romana»
Tracce
di decine di «domus» costruite tra il I e il III secolo. Le scoperte
di Ernesto Canal: la vita prima della nascita di Venezia
Cosa
può fare, da grande, un bambino che a sette anni gioca nel magazzino
dei musei di storia naturale e del Correr tra resti di antiche spade
giapponesi, pezzi di armature e burattini del Settecento che lancia tra
la polvere per l’effetto esplosione? Soltanto l’esploratore della
storia. Ernesto Canal, detto Tito, classe 1924, allora aveva 7 anni e
sette tra fratelli e cugini con cui giocare nella soffitta del museo
dove il nonno era il custode. «Quando decenni dopo, i restauratori del
Correr andarono a prenderli per esporli li trovarono tutti ammaccati»,
sorride Canal, che un po’ si sente ancora in colpa. Adesso che di anni
ne ha quasi 90 e ha collezionato decine di soprannomi, da «el matto par
le piere» a «professore» a «pioniere dell’archeologia lagunare»,
Canal pubblica dopo dieci anni di lavoro e cinquanta di ricerche,
l’enciclopedia della sua vita: Archeologia della laguna di Venezia,
1960-2010 (Ed. Cierre) con l’introduzione di Wladimiro Dorigo, che lo
chiamava «il mio maestro».
L’inizio
fu quella soffitta di
bambini e poi la «prigionia» in guerra. Non il carcere, ma la casa in
Canal grande dove Tito - disertore per i tedeschi - restò rinchiuso un
anno. «Quando sono uscito soffrivo di vertigini che sparivano solo in
barca. E allora io stavo in barca, anche solo attraccata alla riva di
casa». Benedette vertigini, lo hanno portato a scoprire da Costanziaco
a San Lorenzo di Ammiana, a San Marco in Boccalama, a Santa Maria cava,
decine di isole scomparse e 730 siti archeologici, con le tracce dei
primi abitanti della laguna: frecce del tardo neolitico, olle biconiche
dell’XI secolo a.C., fino a duecento strutture di epoca romana con i
pavimenti in mosaico e marmo azzurro solo nella laguna nord. I reperti
che ha consegnato alla Soprintendenza, di cui è ispettore onorario dal
1971, sono oltre 90 mila: vetri, anfore, monete, le colonne lignee delle
domus, mosaici, intonaci dipinti, barche, urne cinerarie. La teoria, che
con i suoi ritrovamenti ha supportato per gli storiografi, è che la
laguna è stata abitata almeno fin dal
1600 a
.C., ma le ingressioni marine (alte maree) che più o meno ogni 500 anni
hanno sommerso isole e barene, hanno impedito (con qualche eccezione),
la trasmissione del ricordo dell’esistenza di insediamenti. Le
ingressioni marine, secondo Canal e studiosi e archeologi accademici,
sono state una cesura storica e ambientale, ma in tutti i periodi
intermedi di regressione (bassa marea), ci sono stati insediamenti,
ricchi in epoca romana e poveri in epoca medievale. Mai questi
insediamenti, secondo Canal, hanno avuto carattere cittadino, sempre «periferico»,
che fossero capanne vicino alle saline o ville al mare dei romani di
Altino. «Avevo sedici anni quando mi sono appassionato a una polemica
tra studiosi sulle origini di Venezia, medievali o romane e ho deciso
che avrei cercato di capire. Ma prima, per dieci anni, ho studiato ghebo
a ghebo la laguna, con i pescatori e il mio amico Archimede D’Iseppi,
che mi ha insegnato a riconoscere ogni sfumatura di colore e
increspatura dell’acqua».
Poi
un giorno Memo, il pescatore che conosceva bene Paul
McCartney e il caratteraccio dei buranelli in laguna, armò la barca con
un bottiglione di vino. «Al decimo bicchiere insieme — racconta Canal
che è astemio — un pescatore, Borraccio, era a prua della nostra
barca e diceva "vai qua a destra, qua noi peschiamo sempre
ossa", "vai qua sinistra, sul fondo ci sono anelli di
terracotta". Erano le bocche di anfore interrate. Fu così che
scoprimmo otto colonne allineate di un portico ligneo». Alle spalle di
Canal, nello studio, c’è una carta geografica: è la laguna delle sue
scoperte, Venezia prima di Venezia, fatta di strade, capanne, ville,
saline, porti, torri di difesa, dove oggi ci sono rii grandi e piccoli e
nuove barene. In una parte della laguna nord i simboli rossi dei siti
archeologi si fanno più fitti. E’ là, vicino all’isola di Santa
Cristina, di Swarovski, che Tito ha scoperto il «Canal Grande dei
romani», lungo il canale Gaggian, che forse all’epoca era un ramo del
Piave. Sulle ex rive sommerse, vicino alla pieve di San Lorenzo d’Ammiana,
dall’85 Canal e i suoi sommozzatori trovarono le tracce di decine di
domus, costruite tra il I e il III secolo, larghe quaranta metri, con
pavimenti di mosaico e marmo azzurro. «Il canale portava dritto ad
Altino - spiega l’archeologo - e quelle probabilmente erano ville a
baia, oggi diremo le case delle vacanze». Una manciata di anni più
tardi l’altra scoperta famosa, la villa romana di Lio piccolo, con gli
intonaci dipinti a fiori, uccelli, spirali. «È stata la più
emozionante, perchè non era sott’acqua e ho potuto vederla».
Nell’atlante, in libreria da qualche giorno, c’è tutto, tranne
forse gli 80 milioni di lire spesi da Canal di tasca sua, per l’esame
del Carbonio 14 sui reperti, le sei barche e i 7 motori consumati, la
storia delle attrezzature pionieristiche, l’asta di metallo, i
magnetometri, gli ecoscandagli. E non c’è la rabbia di fronte alle
benne che distruggevano le colonne romane sotto il fango, per costruire
valli da pesca o moderne vie d’acqua.
Claudia
Fornasier
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