CIRCOLO VELICO CASANOVA

P.ta San Giuliano - Mestre Venezia

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mercoledì 7 giugno 2000      n. 22 Giovedì 24 gennaio 2002
 

 

IL, DIBATTITO

LA MORTE DELLA LAGUNA E’ UN PROBLEMA VENETO

di Antonio Foscari

Il sistema lagunare entro cui sorge Venezia é uno degli ambienti anfibi più singolari d'Europa per la sua beIlezza e per la raffinatezza della sua costruzione - ha una estensione di circa 500 chilometrì quadrati ed è quindi la più grande riserva naturalistica della nostra regione.

La singolare bellezza e la sopravvivenza stessa delle caratteristiche lagunari di questo territorio sono però gravemente minacciate.

E' in corso, infatti, un processo vistoso di distruzione di questo fragilissimo ambiente naturale. Esso è determinato in misura prevalente da quel fenomeno - risultante dall'abbassamento del suolo lagunare (subsidenza) e dall'innalza­mento del livello del mare (eu­statismo) - che, per semplicità, chiameremo «innalzamento del livello delle acque marine». Di quelle acque, cioè, che due volte al giorno, con le maree, invadono il territorio lagunare.

Essendo aumentato il livello delle acque, queste hanno cominciato ad espandersi anche su quelle aree, le barene, che erano solo lievemente emerse; e in tal modo è aumentata la quantità d'acqua che allaga le lagune. Una marea normale immette nelle lagune (nei 500 chilometri quadrati di cui dicevamo) qualcosa come 500 milioni di metri cubi d'acqua. Due volte al giorno.

Orbene, questa immensa massa d'acqua, quando esce dalle lagune per rifluire nel mare, asporta, con la violenza delle sue correnti, tutto ciò che trova in sospensione., materiale organico, sedimenti e quel fango che si viene a formare, inevitabilmente, per l'azione del vento e del moto ondoso. Non solo: essa raschia, per così dire, la sostanza plastica, molle, fragile di quest'ambito anfibio. E scarica tutto in mre.

Si è avviato così un processo di erosione che - in base ai dati scientifici più ottimistici – risulta sottrarre alla laguna più di un milione di metri cubi all'anno di materiale.

Non vi è alcun fattore che possa compensare questa per­dita immane, dacché nella la­guna (da ben cinque secoli) non si immettono più corsi d'acqua dolce, con i loro apporti alluvionali.

E dacché l'acqua del mare non ha, nemmeno essa, materiali alluvionali in sospensione da quando (è più di mezzo secolo ormai) i nostri corsi d'acqua sono sistematicamente sfruttati come bacini per la produzione idroelettrica e come cave.

E vi sono invece, purtroppo, dei fattori che accentuano il fenomeno di erosione della laguna: basti pensare alla pratica scellerata di dragare il fondo lagunare per la raccolta delle vongole: una operazione che aumenta a dismisura il fango in sospensione che è destinato ad essere scaricato in mare con la prima marea calante.

Questo gigantesco processo di erosione della laguna ha una conseguenza gravissima (sono tentato di dire drammatica): esso comporta la demolizione della morfologia lagunare, cioè di quell'insieme di forme e di paesaggi (le barene, le velme, le motte, i ghebi) che rendono questa enorme estensione acquatica uno degli ambienti più suggestivi del mondo.

E'un processo, questo dell'erosione, che è cominciato decenni orsono. Se guardassimo una fotografia aerea dell'am­bito lagunare, come, ad esem­pio, una bella immagine che è stata ripresa da un fotografo

che sorvolava Venezia in un pallone aerostatico nel 1865, vediamo come la barene si estendessero anche dietro l'isola di San Giorgio, a ridosso di Venezia dunque.

Oggi, un'immagine di quel genere non si può p ú in nessun modo cogliere (nemmeno in giornate di eccezionale bas­sa marea, come quelle che ab­biamo conosciuto in questo me­se di gennaio).

Perché?

Per la semplice ragione che quell'ambiente è stato a poco a poco eroso, ed è stato alterato radicalmente (per non dire demolito). Oggi, là dove vi erano le barene dietro all'isola di San Giorgio l'acqua ha una profondità di un metro, un metro e mezzo.

Un accurato rilevamento compiuto dal Magistrato alle Acque (l'antica e gloriosa Ma­gistratura che, ha, in materia di idraulica lagunare, una competenza che vanta quattro secoli di storia) documenta peraltro, in modo agghiacciante, l'entità del fenomeno dell'erosione della laguna nel ventennio 1970‑1990.

Non mi dilungo nella descrizione di questi documenti. Mi limito a gire che il bacino centrale del sistema lagunare (quello che è segnato dall'attraversamento del Canale dei Petroli) è sostanzialmente demolito. L'acqua ha, per un'area amplissima, una profondità variabile tra i cinque e i dieci metri. I bacini di Venezia e di Chioggia sono compromessi in modo che è eufemistico dire allarmante.

Nel corso dell'ultimo decen­nio (per il quale ci manca tut­tavia un’adeguata documentazione) il fenomeno si è aggra­vato ulteriormente. Perché perdura - come tutti sanno - il processo di innalzamento del livello del mare.

E pertanto il regime delle ac­que indotto dalle maree conti­nua ad «eccitarsi», aumentando di potenza, e svolge incessantemente, in modo impietoso, la demolizione di quella morfologia lagunare che assicurava l'eccezionale qualità ambientale e paesistica di questa enorme riserva naturale.

Perché diciamo tutto questo, ora? Per la buona ragione che il recente Comitatone (l'orga­no responsabile della salva­guardia, istituito dalla specia­le legislazione veneziana) ha autorevolmente sancito, ne

sua ultima riunione, che si completi la progettazione del­le opere idrauliche di regola­zione del regime idraulico nel sistema lagunare veneto. E quindi è lecito, ora, aspettarsi che i progettisti tengano ben ~n evidenza il problema che si e cercato qui di descrivere, sia pure in modo sommario.

E'1ecito, ma non è scontato. I progettisti, quando hanno avviato le loro ricerche (par­liamo di trent'anni fa, ormai), si sono prefissi l'obiettivo di dare risposta alle attese di un’opinione pubblica che era spa­ventata allora (dopo la mareg­giata del 1966) dall'idea di una nuova mareggiata che di­struggesse davvero Venezia, e si sono impegnati ‑ per altro verso ‑ a risolvere il proble­ma delle «acque alte», cioè di un fenomeno che fornisce im­magini così singolari da esse­re entrate nell'immaginario collettivo del mondo intero.

Ed hanno messo a punto una soluzione che risponde a queste due istanze. Han­no previsto l'installazione nel­le bocche diporto di 79 cassoni metallici (larghi 20 metri, spes­si 5, alti fino a 25 metri e pe­santi da 250 a 350 tonnellate ciascuno) che sono in grado di fronteggiare una mareggiata e che in caso di «acque alte» ‑quindi una dozzina di volte l'anno ‑ entrano in funzione per impedire l'entrata della marea nella laguna.

Tutto il resto dell'anno que­sti cassoni rimangono adagia­ti sul fondo del canale portua­le, entro appositi alloggiamen­ti.

E'evidente, anche da una de­scrizione tanto sommaria, che uno sbarramento concepito con tali presupposti non ha considerato il fenomeno quotidiano dell'erosione della mor­fologia lagunare determinata da ciascuna normale marea, né ha considerato l'aggravar­si continuo di questa azione demolitrice determinato dal­l'innalzamento del livello del mare (che è stato di circa 28 centimetri nel secolo appena scorso e non sarà meno di tren­ta centimetri nel corso del seco­lo or ora iniziato).

Tanto poco quella soluzione considera questi problemi che, a fronte del fenomeno planeta­rio dell'innalzamento del livel­lo del mare, nel contesto vene­ziano si è reagito nel modo più banale: alzando di qual­che centimetro il livello delle pavimentazioni delle calli ve­neziane.

 

Ed a fronte del fenomeno del­la distruzione delle barene cui assistiamo ci si limita ‑ come tutto provvedimento ‑ a costruire dei terrapieni artificia­li che dovrebbero restituirci l'immagine (come fossero del­le protesi) di barene che sono state già distrutte dalle acque.

Insomma i progettisti degli anni Settanta non hanno dato risposta a quella esigenza che è chiaramente espressa dal­l'oggetto stesso della legge 171; non hanno cioè predisposto un'idonea azione di salva­guardia della laguna.

Il fatto non può lasciarci in­differenti: perché è ben eviden­te che quella operazione, la salvaguardia della laguna, che il legislatore ha definito «di preminente interesse nazio­nale» è anche, certamente «di preminente interesse veneto».

Il Veneto non può correre il rischio di perdere ‑ a causa della mancanza di una vera cultura ambientalista in ambi­to veneziano ‑ una risorsa immensa quale è un sistema lagunare di cinquecento chilo­metri quadrati di estensione. Non può ammettere che questo ambiente anfibio di ecceziona­le qualità, dal punto di vista naturalistico, diventi un brac­cio di mare, cioè una estensio­ne d'acque priva affatto di morfologia e di caratterizza­zione palustre, acquatica, anfi­bia, in una parola lagunare.

Il Veneto è naturalmente in­teressato dunque, che quel completamento della progetta­zione che il Comitatone ha di­sposto ‑ e che va subito avvia­to ‑ si prefigga davvero, que­sta volta, l'obiettivo di garan­tire la salvaguardia del suo ecosistema lagunare.

Antonio Foscari


 
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