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Da “La Notizia” Del S. Polo dei Nomboli Inverno 1996, anno 8 n. 20
Armenio
partì nel '46 con padre, madre e sorelle da Chioggia caricando di
masserizie il bragossetto del padre di mestiere “omo da mar”,
pescatore, per trasferirsi nell'isola ormai liberata dalla umiliazione della
servitù militare di guerra. Vi
trovò la casermetta militare, la fontana, la pavimentazione, l’approdo e
i rottami che la guerra vi ha aveva lasciato. Con
l’abilità di un sub moderno, riuscì a recuperare le pesanti catene e le
ancore che trattenevano il pontone contraereo. La
sua famiglia e lui, maschio titolare durante le assenze del padre per la
pesca, piantarono un orto, allevarono galline, conigli, e la grande capra
bianca di nome Betta, che non dava poi molto latte, ma giocava coi cani e si
prestava volentieri a fare il cavallo nei giochi dei bimbi. Dopo
i primi tempi l'illuminazione a petrolio fu sostituita da un motorino a
scoppio che garantiva un quantitativo sufficiente di elettricità, ma
l'acqua (buonissima, ricorda Armenio) si prelevava dalla fontana a pompa
dell'isola. Armenio,
vogando alla valesana sul sàndolo di casa, accompagnava ogni mattino le
sorelle a scuola, faceva la spesa e tornava in isola a rassettare l'orto o
ai lavori di manutenzione del bragosso, poi tornava a prendere le sorelle da
scuola affrontando ostinato il maltempo nella brutta stagione. Gli
sognano gli occhi quando mi racconta che, dopo cena, la mamma leggeva per
tutti: "aveva moltissimi libri'. Ricorda
ancora che il racconto che ha più amato parlava del ritrovamento di
Atlantide sommersa dal mare, strana coincidenza. Gli
brillano gli occhi quando ricorda. che a 16 anni conobbe sua moglie che,
come altri usavano fare, aveva raggiunto l'isola con la zia, sempre a remi,
per prendere il Ha
corso grandi rischi, Armenio, riportando a casa la madre e la sorella
lottando contro il vento di dozana che gli riempiva d'acqua la barca,
perdendosi in laguna nel freddo e nella nebbia: "…e mi vogavo e no
volevo molar, se nò gèro perso… ore e ore… “ salvato dalla madre
che battendo col mestolo sul pentolone di casa indicava la strada giusta,
anche lei per ore ed ore…; o
quando, col padre dovette affrontare un fortunale che durava da giorni con
“na man de mezo" - la vela piccola -, per comprare i viveri
necessari alla famiglia. Eppure
ci tornerebbe: "mi vorìa tonar se ciapàsse 'na sisa [vincita al
totocalcio].. e viver là i ultimo
ani…' Conoscere una persona così è un onore e un piacere, guardare l’isola come è adesso … [1996] L'ultima
nota di speranza si é avuta nel giugno dell'85 quando a seguito di una
comitiva di bambini convinti nell'ingenuità che le istituzioni avrebbero
restaurato l'isola per metterla a disposizione dei loro giochi (pensate un
po': trasporti, pulizie, manutenzione, sicurezza ecc.), giunsero in una
memorabile giornata di pioggia Luigi Veronelli ed altri esperti enologi per
supportare l'ipotesi, sostenuta da adeguate ed approfondite analisi
ambientali, di far coltivare ai bimbi 300 viti, due specie di rosso e due di
bianco con equanime giudizio, per rifornire di vino gli anziani ospiti delle
case di cura veneziane ( Demenza pura da telefono azzurro. Tre anni fa, senza fare la storia miserabile delle isole tutte, S. Clemente è stata colpevolmente abbandonata allo sciacallaggio antiquario e non; l'unico pezzo ritrovato è la statua di un Capitano da Mar in un negozio antiquario di Brescia. Nessuno finora ha pagato questa ignavia. Ringraziando
Armenio, “… vorìa tonar indrìo…” **
Testo originale dell'articolo, storicamente da aggiornare. |