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IL, DIBATTITO LA MORTE DELLA LAGUNA E’ UN PROBLEMA VENETO di
Antonio Foscari Il
sistema lagunare entro cui sorge Venezia é uno degli ambienti anfibi più
singolari d'Europa per la sua beIlezza e per la raffinatezza della sua
costruzione - ha una estensione di circa 500 chilometrì quadrati ed è
quindi la più grande riserva naturalistica della nostra regione. La
singolare bellezza e la sopravvivenza stessa delle caratteristiche
lagunari di questo territorio sono però gravemente minacciate. E'
in corso, infatti, un processo vistoso di distruzione di questo
fragilissimo ambiente naturale. Esso è determinato in misura prevalente
da quel fenomeno - risultante dall'abbassamento del suolo lagunare
(subsidenza) e dall'innalzamento del livello del mare (eustatismo) -
che, per semplicità, chiameremo «innalzamento del livello delle acque
marine». Di quelle acque, cioè, che due volte al giorno, con le maree,
invadono il territorio lagunare. Essendo
aumentato il livello delle acque, queste hanno cominciato ad espandersi
anche su quelle aree, le barene, che erano solo lievemente emerse; e in
tal modo è aumentata la quantità d'acqua che allaga le lagune. Una marea
normale immette nelle lagune (nei 500 chilometri quadrati di cui dicevamo)
qualcosa come 500 milioni di metri cubi d'acqua. Due volte al giorno. Orbene,
questa immensa massa d'acqua, quando esce dalle lagune per rifluire nel
mare, asporta, con la violenza delle sue correnti, tutto ciò che trova in
sospensione., materiale organico, sedimenti e quel fango che si viene a
formare, inevitabilmente, per l'azione del vento e del moto ondoso. Non
solo: essa raschia, per così dire, la sostanza plastica, molle, fragile
di quest'ambito anfibio. E scarica tutto in mre. Si
è avviato così un processo di erosione che - in base ai dati scientifici
più ottimistici – risulta sottrarre alla laguna più di un milione di
metri cubi all'anno di materiale. Non
vi è alcun fattore che possa compensare questa perdita immane, dacché
nella laguna (da ben cinque secoli) non si immettono più corsi d'acqua
dolce, con i loro apporti alluvionali. E
dacché l'acqua del mare non ha, nemmeno essa, materiali alluvionali in
sospensione da quando (è più di mezzo secolo ormai) i nostri corsi
d'acqua sono sistematicamente sfruttati come bacini per la produzione
idroelettrica e come cave. E
vi sono invece, purtroppo, dei fattori che accentuano il fenomeno di
erosione della laguna: basti pensare alla pratica scellerata di dragare il
fondo lagunare per la raccolta delle vongole: una operazione che aumenta a
dismisura il fango in sospensione che è destinato ad essere scaricato in
mare con la prima marea calante. Questo
gigantesco processo di erosione della laguna ha una conseguenza gravissima
(sono tentato di dire drammatica): esso comporta la demolizione della
morfologia lagunare, cioè di quell'insieme di forme e di paesaggi (le
barene, le velme, le motte, i ghebi) che rendono questa enorme estensione
acquatica uno degli ambienti più suggestivi del mondo. E'un
processo, questo dell'erosione, che è cominciato decenni orsono. Se
guardassimo una fotografia aerea dell'ambito lagunare, come, ad
esempio, una bella immagine che è stata ripresa da un fotografo che
sorvolava Venezia in un pallone aerostatico nel 1865, vediamo come la
barene si estendessero anche dietro l'isola di San Giorgio, a ridosso di
Venezia dunque. Oggi,
un'immagine di quel genere non si può p ú in nessun modo cogliere
(nemmeno in giornate di eccezionale bassa marea, come quelle che
abbiamo conosciuto in questo mese di gennaio). Perché? Per
la semplice ragione che quell'ambiente è stato a poco a poco eroso, ed è
stato alterato radicalmente (per non dire demolito). Oggi, là dove vi
erano le barene dietro all'isola di San Giorgio l'acqua ha una profondità
di un metro, un metro e mezzo. Un
accurato rilevamento compiuto dal Magistrato alle Acque (l'antica e
gloriosa Magistratura che, ha, in materia di idraulica lagunare, una
competenza che vanta quattro secoli di storia) documenta peraltro, in modo
agghiacciante, l'entità del fenomeno dell'erosione della laguna nel
ventennio 1970‑1990. Non
mi dilungo nella descrizione di questi documenti. Mi limito a gire che il
bacino centrale del sistema lagunare (quello che è segnato
dall'attraversamento del Canale dei Petroli) è sostanzialmente demolito.
L'acqua ha, per un'area amplissima, una profondità variabile tra i cinque
e i dieci metri. I bacini di Venezia e di Chioggia sono compromessi in
modo che è eufemistico dire allarmante. Nel
corso dell'ultimo decennio (per il quale ci manca tuttavia
un’adeguata documentazione) il fenomeno si è aggravato ulteriormente.
Perché perdura - come tutti sanno - il processo di innalzamento del
livello del mare. E
pertanto il regime delle acque indotto dalle maree continua ad
«eccitarsi», aumentando di potenza, e svolge incessantemente, in modo
impietoso, la demolizione di quella morfologia lagunare che assicurava
l'eccezionale qualità ambientale e paesistica di questa enorme riserva
naturale. Perché
diciamo tutto questo, ora? Per la buona ragione che il recente Comitatone
(l'organo responsabile della salvaguardia, istituito dalla speciale
legislazione veneziana) ha autorevolmente sancito, ne sua
ultima riunione, che si completi la progettazione delle opere idrauliche
di regolazione del regime idraulico nel sistema lagunare veneto. E
quindi è lecito, ora, aspettarsi che i progettisti tengano ben ~n
evidenza il problema che si e cercato qui di descrivere, sia pure in modo
sommario. E'1ecito, ma non è scontato. I progettisti, quando hanno avviato le loro ricerche (parliamo di trent'anni fa, ormai), si sono prefissi l'obiettivo di dare risposta alle attese di un’opinione pubblica che era spaventata allora (dopo la mareggiata del 1966) dall'idea di una nuova mareggiata che distruggesse davvero Venezia, e si sono impegnati ‑ per altro verso ‑ a risolvere il problema delle «acque alte», cioè di un fenomeno che fornisce immagini così singolari da essere entrate nell'immaginario collettivo del mondo intero. Ed
hanno messo a punto una soluzione che risponde a queste due istanze.
Hanno previsto l'installazione nelle bocche diporto di 79 cassoni
metallici (larghi 20 metri, spessi 5, alti fino a 25 metri e pesanti
da 250 a 350 tonnellate ciascuno) che sono in grado di fronteggiare una
mareggiata e che in caso di «acque alte» ‑quindi una dozzina di
volte l'anno ‑ entrano in funzione per impedire l'entrata della
marea nella laguna. Tutto
il resto dell'anno questi cassoni rimangono adagiati sul fondo del
canale portuale, entro appositi alloggiamenti. E'evidente,
anche da una descrizione tanto sommaria, che uno sbarramento concepito
con tali presupposti non ha considerato il fenomeno quotidiano
dell'erosione della morfologia lagunare determinata da ciascuna normale
marea, né ha considerato l'aggravarsi continuo di questa azione
demolitrice determinato dall'innalzamento del livello del mare (che è
stato di circa 28 centimetri nel secolo appena scorso e non sarà meno di
trenta centimetri nel corso del secolo or ora iniziato). Tanto
poco quella soluzione considera questi problemi che, a fronte del fenomeno
planetario dell'innalzamento del livello del mare, nel contesto
veneziano si è reagito nel modo più banale: alzando di qualche
centimetro il livello delle pavimentazioni delle calli veneziane. Ed
a fronte del fenomeno della distruzione delle barene cui assistiamo ci
si limita ‑ come tutto provvedimento ‑ a costruire dei
terrapieni artificiali che dovrebbero restituirci l'immagine (come
fossero delle protesi) di barene che sono state già distrutte dalle
acque. Insomma
i progettisti degli anni Settanta non hanno dato risposta a quella
esigenza che è chiaramente espressa dall'oggetto stesso della legge
171; non hanno cioè predisposto un'idonea azione di salvaguardia della
laguna. Il fatto non può lasciarci indifferenti: perché è ben evidente che quella operazione, la salvaguardia della laguna, che il legislatore ha definito «di preminente interesse nazionale» è anche, certamente «di preminente interesse veneto». Il
Veneto non può correre il rischio di perdere ‑ a causa della
mancanza di una vera cultura ambientalista in ambito veneziano ‑
una risorsa immensa quale è un sistema lagunare di cinquecento
chilometri quadrati di estensione. Non può ammettere che questo
ambiente anfibio di eccezionale qualità, dal punto di vista
naturalistico, diventi un braccio di mare, cioè una estensione
d'acque priva affatto di morfologia e di caratterizzazione palustre,
acquatica, anfibia, in una parola lagunare. Il
Veneto è naturalmente interessato dunque, che quel completamento della
progettazione che il Comitatone ha disposto ‑ e che va subito
avviato ‑ si prefigga davvero, questa volta, l'obiettivo di
garantire la salvaguardia del suo ecosistema lagunare. Antonio
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