Se a un veneziano
del '600 fosse stato predetto l'avvento di un'epoca in cui l'acqua
del mare, introducendosi copiosa nei porti, avrebbe infine
liberato la laguna di fanghi, canneti e paludi, quel veneziano
avrebbe esultato di gioia, potendo immaginare il termine di una
lotta e di un'ossessione contro la quale sembrava non esserci
soluzione. Non più canali invasi dal fango, non più dissanguanti
campagne per l'escavazione di fondali che di giorno in giorno
lievitavano verso la superficie, non più imbarcazioni arenate su
scanni e dossi di mota o bastimenti in attesa dell'alta marea per
transitare attraverso porti dal corso via via sempre più sinuoso
e contorto.
La laguna ideale
sognata da quel veneziano d'epoca barocca, che nel commercio e
nella navigazione aveva la sua prima fonte di ricchezza era ricca
di acque limpide e scorrenti veloci in canali rettilinei e di
fondale sicuro, poiché la velocità sostenuta delle correnti di
marea è la prima condizione per l'automantenimento delle vie
d'acqua, applicazione della massima secondo cui "gran porto
fa gran laguna", ma fa anche la salute dell'aria e della città.
Finalmente la laguna liberata dai perniciosi canneti e dalle
paludi nelle quali si annida e cova il nemico da abbattere, il
fango che qui ha fatto la propria residenza, e da dove
silenziosamente parte verso la città stessa stringendola in una
morsa soffocante e paralizzante.
Il problema
principale per il cittadino e commerciante veneziano del XVII
secolo, e ancor più per quello del secolo dei lumi, non era nelle
acque alte, fenomeno occasionale e di scarsa incidenza economica,
ma quello opposto dei fanghi alti e sempre più alti e
ingombranti, cui un'opera continua e disperata di escavazione non
riesciva a far fronte. Ingenti risorse economiche erano destinate
alla liberazione del fango dai canali, lotta e nemico che impegnò
la Serenissima quasi più della guerra contro i turchi.
Nell'idraulica
secentesca il fango figurava occludere - come vuole la
tradizionale analogia laguna/corpo umano - le vene e le arterie
del sistema circolatorio dei canali, dilatando ed espandendo
oltremisura la laguna morta (regno dell'acqua dolce e della
palude) a scapito della viva (animata dal moto benefico delle
acque salse). Ma emboli di sabbia erano generati anche dal mare
che nell'azione di erosione lungo le spiagge trasportava il
proprio carico e lo depositava attorno alle bocche di porto in un
arabesco di banchi sabbiosi e "scani" in perpetuo
movimento.
Mentre si
continuava velleitariamente a cavare fango con "edifici"
sempre più perfezionati, vi era chi consigliava di dividere
drasticamente in due la laguna, sì da separare le acque dolci
dalle salse, la laguna morta dalla viva, con un canale orizzontale
da nord verso sud, o con una lunga palificata. Di segno contrario
invece l'opera, attuata nei primi anni del Seicento, dei
cosiddetti tagli Garzoni (dal nome del sovrintendente ai lavori),
aperture praticate lungo le barene e le paludi per vivificare la
laguna morta e aprirla allo scorrere liberatorio delle acque,
intervento nel quale furono impiegati centinaia di "guastadori"
fatti giungere dalla terraferma. Secondo il parere degli idraulici
più avveduti del tempo i tagli Garzoni peggiorarono la
situazione. Non restava dunque che scavare a oltranza badando a
depositare i fanghi da smaltire il più possibile lontano dalla
costa.
La storia ci
porta al tempo in cui la guerra contro l'interrimento è stata
vinta. Nel breve giro di qualche decennio il corso della laguna ha
preso però un segno contrario. Il fango è stato estromesso, il
mare ne ha occupato il posto. Il cittadino tardo-rinascimentale
della Repubblica di San Marco guarderebbe ora con sgomento le
fondamenta cittadine attorniate da vortici, i marmi e i mattoni
percossi da onde e sfregati da correnti impetuose, nuova e diversa
ma assai più pericolosa morsa d'acqua.
Fausto Sartori
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