Il
cielo è uniformemente coperto da una grigia coltre di vapore.
L’acquerugiola a tratti si fa quasi pioggia; Venezia, davanti a noi, è
soltanto una catena di profili indistinti di case e campanili, fantasmi
pressoché invisibili, confusi nella nebbia.
Ciò
nonostante, mettiamo in acqua la Giorgia, la topetta
di legno su cui carichiamo albero e vela, la sacca delle cime, i giubbotti
salvagente, il secchio con l’ancora, i remi e le forcole…
Ho
appena terminato il mio breve corso di Vela al Terzo, e oggi c’è la
splendida occasione di una lunga traversata in Laguna. Sono con Claudio e
Mario, istruttori del Circolo Velico e col mio vecchio amico Stefano, buon
conoscitore della Laguna Sud, che ci farà da “guida scout” tra i
canali e i ghebi, per
raggiungere Valle Averto.
Nel
caìgo, non c’è un filo di vento. Così montiamo il piccolo
motore ausiliario e, dopo più di un tentativo, finalmente riusciamo a
farlo funzionare.
Da Punta San Giuliano ci dirigiamo verso il ponte translagunare; in barca
abbiamo fatto ciaro, mettendo
tutto in ordine, pronto per l’uso: i remi sono sul bordo destro, mentre
su quello di sinistra abbiamo adagiato l’albero di legno e le antennelle con la vela; il resto del bagaglio è sotto coperta, a
prua. Arrivati al ponte, ci dirigiamo lentamente verso l’arco n. 14,
quello contrassegnato da una freccia rossa, l’unico che consente di
passare trovando fondale sufficiente per la nostra piccola
imbarcazione.
Stamattina però la marea è alquanto alta, e così bisogna quasi
stendersi sul fondo della barca per non sbattere la testa;
l’intercapedine fra il ponte ferroviario e quello stradale costituisce
una incredibile fuga prospettica verso Venezia. Ci sembra di essere Jean
Valjean in fuga nei sotterranei di Parigi…
Ora
bisogna affrontare la navigazione davanti a Marghera,
facendo attenzione alle navi e ai battelli di ogni tipo e dimensione che
frequentano questa parte di Laguna. La nebbia ci consiglia di tenere la
rotta sotto controllo, così diamo un’occhiata alla mia bussola, che per
una volta è uscita dal suo abituale posticino nel mio sacco da montagna:
180° Sud. Sulla destra sfilano i profili delle ciminiere e dei vari
impianti della zona industriale, poi riconosciamo la punta di Fusina e la
bassa arginatura della Cassa di colmata A.
Seguono le alberature della Cassa B, che da qui sembra quasi un bosco.
Sulla
sinistra, la Sacca Sessola e Sant’Angelo delle Polveri, poi i minuscoli
isolotti della Campana e del Fisolo; una serie di basse palancole indica
quel che resta di San Marco in Bocca Lama.
Davanti alle Casse di colmata il Canale dei Petroli è percorso
incessantemente da grosse navi da carico, dirette alla zona industriale.
Le dame e le briccole indicano le vie d’acqua, perdendosi lontano nella
caligine; su alcune di esse sostano i Cormorani, che tengono aperte ad
asciugare le loro nerissime ali.
Quando
giungiamo davanti al Porto di San Leonardo,
il cielo comincia a rischiararsi e arriva un primo raggio di timido sole.
Attraversiamo il Canale Malamocco-Marghera e imbocchiamo la Tagliata
Nuova, costeggiando la sponda meridionale della Cassa D-E;
lontano sulla sinistra si scorgono gli scheletrici ruderi del casone
Torson di sotto.
Siamo in una di quelle zone di aperte bassure, che in Laguna si chiamano laghi:
la distesa d’acqua, che riflette l’azzurro del cielo, è interrotta
soltanto da qualche brandello di barena
e dagli intrichi delle reti fisse da pesca, le seragie
e i cogòli, trappole insidiose
per i pesci, che vi restano impigliati durante i movimenti indotti
dall’alternanza delle maree.
Ormai
abbiamo lasciato dietro le nostre spalle il traffico marittimo di Marghera
e qui non c’è quasi nessuno: una barchetta come la nostra trasporta due
barenanti, che vanno
controllando le loro reti.
Sulla Cassa di colmata si notano i perenni lavori di movimento terra del
Consorzio; fra gli alberi e il canneto si aggirano Gabbiani e Cornacchie,
scacciati di tanto in tanto dal passaggio di qualche femmina di Falco di
palude, che volteggia a caccia di piccole prede: ne conto almeno tre, e
come sempre mi domando perché sia così raro, invece, vedere il maschio
di questo splendido rapace.
Sulle
barene sostano vocianti molti Gabbiani reali, ma anche qualche
bianchissima Garzetta, con le lunghe egrette che le adornano
leggiadramente il capo.
Un Chiurlo piccolo, dal caratteristico becco rivolto all’ingiù, si
allontana in volo al nostro passaggio.
In acqua, tanti Svassi piccoli, che si tuffano repentinamente, restando in
immersione per un tempo incredibilmente lungo.
Lontano, però, distinguiamo pure un gruppetto di Smerghi minori, un
maschio con la testa di un bel verde brillante e tre femmine, con le teste
invece color del rame.
Più in là, da una barena s’involano due o tre Volpoche.
Attraversiamo
così il Lago delle Tezze e andiamo a prendere la Canaletta di Lugo,
tenendo sulla destra l’argine della punta delle Giare e poi quello della
Valle Serraglia, mentre a sinistra si stende la Valle Contarina.
Oltre gli argini scorgiamo le massicce ma belle costruzioni dei casoni di
valle. Sopra la nostra testa vola un Airone cenerino, in acqua ancora
Svassi piccoli e qualche Tuffetto.
Son passate poco più di tre ore da quando siamo partiti e finalmente
giungiamo di fronte a Valle Averto.
Ormeggiamo la Giorgia ad un albero e scendiamo.
Come
c’era da aspettarsi, riceviamo un’accoglienza più ancora che
cordiale, calorosa.
L’agriturismo, da poco in esercizio, è ospitato nel caseggiato di
servizio della valle. Ottimo il restauro e gradevolissimo l’ambiente: ci
viene offerto un pranzo a base di pesce, che, manco a dirlo, è più che
gradito.
Una breve occhiata alla valle: vediamo l’allevamento di galline di
Polverara e un gruppetto di pavoni che passeggiano pigramente sull’aia;
in fondo, volteggia sui canneti il solito Falco di palude, mentre qualche
coppia di Germani reali attraversa l’aria come se fossero degli
aeroplani da caccia in ricognizione.
Rivado con la mente alle tante giornate trascorse in questi luoghi, fra
acqua e terra, fra campagna e laguna, e son volati via gli anni, e con
essi son mutate tante cose… e se ci pensi sembrano secoli, o soltanto
minuti…
Salutiamo
i nostri ospiti e ripartiamo. Ripercorriamo la via dell’andata e, quando
siamo davanti al porto San Leonardo, caliamo l’ancora e cominciamo ad
armare la barca.
Innanzitutto montiamo il timone, quindi sistemiamo le cime
con i loro strani nomi: prima la borina
e il caricabasso, poi il mante
e la strozza, infine la scotta.
Anche
i nodi hanno nomi inusuali per chi, come me, è ben più avvezzo alle
manovre che si fanno in montagna: c’è la gassa
d’amante, che corrisponde al bulino
degli alpinisti, il parlato,
che altro non è che il nostro barcaiolo,
e poi il nodo d’anguilla, che
serve per inferire il mante sull’antennella superiore ed è, praticamente, una serie ripassata di
nodi semplici.
Il vento spira piuttosto gagliardo e a raffiche, perciò Claudio e Mario
giudicano prudente dare una mano di
terzaroli, per ridurre la superficie velica. Quindi possiamo tirar su
l’albero e, con esso, la randa.
Claudio sbriga rapidamente e con tecnica ineccepibile la delicata manovra
della partenza, e si va! È magnifico navigare così, col vento che gonfia
la vela e senza il rumore fastidioso del motore, ma solamente il dolce
sciabordio dell’acqua e, di tanto in tanto, il cigolio del timone.
Il
vento lo prendiamo prima di traverso, poi di poppa, e si va veloci, ma
bisogna stare attenti perché è un vento strano: all’improvviso
arrivano raffiche più forti, mentre a volte cambia sensibilmente la
direzione.
Il cielo non è più quello di stamattina: ora è un cielo vivo, dove
l’azzurro si contende il campo con nuvole veloci, alcune bianchissime,
altre più scure, che si affastellano e poi si separano per poi radunarsi
nuovamente.
Più
tardi il vento si stabilizza, e allora Claudio mi cede il timone e la scotta,
però resta accanto a me per consigliarmi e sorvegliare la correttezza
delle manovre; a prua ci sono Mario e Stefano, a governare, se occorre, borina
e caricabasso.
Idee, ricordi, progetti più o meno fantasiosi, qualche storiella per
ridere un po’…
Davanti
a Fusina siamo sorpassati da numerosi barchini che corrono veloci: sono i caparozzolanti abusivi, che vanno a fare incetta di vongole in zona
proibita.
Siamo troppo vicini alla terraferma e incappiamo in una zona di secche.
Claudio riprende il timone e risolve la situazione con qualche virata
e qualche strambata da manuale.
Intanto siamo arrivati in vista del Ponte della Libertà; qui, a
pochissima distanza dalla zona industriale di Marghera, ci saranno almeno
quaranta barchini: i caparozzolanti
arano il fondo con i motorini ausiliari tenuti fuori bordo e quindi tirano
su col rastrello i molluschi.
Su quali tavole andranno a finire quelle vongole avvelenate da diossina e
metalli pesanti, e quali loschi guadagni attendono le tasche di questi
“pescatori” abusivi senza scrupoli?
Ma
ormai siamo giunti in prossimità del ponte. Disarmiamo la barca e tiriamo
giù l’albero, quindi ci mettiamo ai remi e pian piano ripassiamo
l’arco n. 14.
Mentre si annunciano le ombre della sera, non ci resta che attraccare a
San Giuliano e portar su la barca.
Abbiamo
trascorso quasi dieci ore in Laguna, una giornata meravigliosa che entrerà
presto a pieno titolo nel tesoretto personale dei miei ricordi più
belli.
Le prossime settimane conto di tornare in montagna, mi aspetta anche il
Corso d’introduzione, e bisognerà trasmettere ai giovani un po’
dell’esperienza fatta in questi anni.
Ma certamente, appena avrò l’occasione, sarò
di nuovo in Laguna, ancora una volta chiamerò cime
le corde e il bulino sarà la gassa d’amante…
Giuseppe Borziello |
Giuseppe
Borziello è nato nel 1954 a Napoli, dove ha conseguito la
laurea in giurisprudenza; dal 1979 vive e lavora nel Veneto.
Per molti anni è stato responsabile della Sezione di Venezia del
WWF. Fa parte del Comitato scientifico del CAI VFG e presiede
la sezione di Mestre dell'associazione "Giovane
Montagna".
Appassionato alpinista, naturalista e fotografo, ha già pubblicato
per Cierre Edizioni "Coste alto-adriatiche - Da Trieste a
Ravenna" e "Lagorai".
Nel marzo 2004
Giuseppe Borziello ha frequentato con successo il corso di vela al
terzo CVC.
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