Approccio alla voga, cronaca di una
corsista
Ho
iniziato questo corso da Pope senza indugio.
L’esperienza precedente da prodiere non mi aveva convinta
completamente ma stavolta
era tutto diverso. Questo, mi sono detta, è un ruolo che mi si
addice, e la “vanga”
(ndr il remo, poi capirete perchè) la devo gestire con la
sinistra ed io sono mancina.
Avevo
ben impresso nella mente il mio primo giorno da “provin”:
ricordo che arrivata al circolo per la lezione del sabato
pomeriggio assieme a molti altri speranzosi atleti ho da subito
appreso il nome del mezzo galleggiante su cui ero destinata. Il
“Pino”.
Il sito
del circolo riporta essere un sandolo buranello,
del
1985, lft.
8.18
m
, largh. baglio max.
1.42,
peso
266 kg
.
Gran bella barca (come tutte d’altronde), un po’ “briscoeosa”
mi dicono. Va bene, che problema c’è, di equilibrio ne ho da
vendere. Sono tranquilla. Salgo. Siamo in quattro,
l’istruttore e tre
allievi, Monica (peraltro mia sorella), Massimo ed io.
Mi
sistemo a lai, assumo l’impostazione che ci hanno insegnato
durante la teoria, testa
eretta, piedi quasi
in linea longitudinale, dietro quello lato forcola, davanti
l’altro all’altezza forcola, peso
del corpo quasi tutto sulla gamba a proravia. Tutto
questo mi servirà anche per il corso da Pope, il concetto base
è lo stesso.
Imbraccio la vanga, il
movimento iniziale è lento,
pala parallela e
vicina alla superficie dell’acqua, si
lavora con i polsi. Come andare in moto mi dicono. Ottimo,
la moto ce l’ho quindi so bene di cosa parliamo.
La vogata inizia, ruoto la
pala perpendicolare all’acqua, la immergo e spingo, distendo
le braccia, il polso ritorna in posizione normale estraendo la
pala dall’acqua e……la vanga esce dalla forcola. Non ci
siamo ma è normale, alle prime vogate capita a tutti.
Dopo due ore sono ancora la,
con la vanga che esce dalla forcola e un gran nervoso. Scendo
dal “Pino”
traditore, delusa e umiliata. Sconfitta da una vanga (quel remo
altro non si meritava altro che quell’appellativo). Basta, ho
chiuso, la voga non fa per me.
Senza alcuna convinzione ma
determinata nel portare a compimento gli impegni, mi ripresento
il giorno dopo per la seconda giornata di corso. Stavolta sono
sulla “Sisa”. E mi innamoro.
Mi
innamoro della Sisa ma soprattutto mi innamoro della voga..
Lei
è la barca che fa per me. Il sito del circolo
la definisce Sanpierota
del
1985, l
.f.t.
7.20
m
. largh. baglio max. 1,89 - kg 570, circa. Per me è solo una
gran bella barca, stabile, prestante, generosa negli spazi.
Scivoliamo
lentamente sul pelo dell’acqua mentre i piccoli solchi
tracciati dalla prua diventano sottili filamenti mano a mano che
la poppa si allontana; il vento batte sullo scafo imprimendo
alla nostra barca un leggero sbandamento a sinistra che il
nostro poppiere sapientemente contrasta per assecondare la
nostra esigenza di stabilità. Attorno a noi il silenzio
blandito dall’immersione dei remi nell’acqua.
E
il mio corso da prodiere prende un’altra piega, vogare mi
piace.
Con
questi ricordi mi appresto quindi ad iniziare il corso da Pope.
Sono passati pochi mesi da quella esperienza. Da allora ho
vogato ben poco ma so che Sisa
aspetta.
Arrivo
al circolo come al solito per la prima lezione di pratica del
sabato pomeriggio. Vado subito a vedere quel foglietto bianco
appeso sulla porta della falegnameria, per intenderci, dove c’è
l’armo delle barche a voga e al terzo (che poi sono sempre le
stesse).
Leggo, non vedo bene, guardo meglio. Barche ed
equipaggi li decide Vittorio Resto, il responsabile settore Voga
e Vela al Terzo, nonché vicepresidente del Consiglio Direttivo
e uno dei decani del circolo, non certo per età anagrafica. E
grande velaterzista ovviamente. Lui non lo sa e non ha motivo
di saperlo ma io lo sto odiando. Pensavo alla “Sisa” e
invece sono sulla “Despossente”, con Stefano (che fa il
corso da prodiere) e Pierantonio come istruttore. Uno bravo, per
intenderci, che fortunata.
Il
mio problema è un altro,
la barca. Definizione
dal sito: mascareta
di
7.35
m
, baglio max
1,26 m
, peso
138 kg
per voga alla veneta.
Altro che “Pino”
questa è pure più piccola, più bassa, più corta, più tutto.
E si balla, come si balla.
Non chiedo sostituzioni, l’orgoglio
me lo impedisce, qui sono assegnata e qui resto. Ma il mio
sguardo depresso, il mio scuotere la testa in senso negativo e
la mia convinzione di ripetere la prima esperienza con il “Pino” muovono a compassione l’amico nonché istruttore Gianni
che dopo aver concordato con i suoi compagni di barca, viene ad
offrire un cambio: Despossente per
Soravento.
Il mio sguardo si
illumina; sarà solo per pochi secondi. Pierantonio, con
fermezza, ringrazia ma non se ne fa niente. Restiamo dove siamo.
Partiamo,
la barca traballa, Lui, il maestro, mi
guarda e mi dice, prendi il remo e vai a prua. Eseguo. Parto
sconsolata. Barcollo ma stavolta non mollo. E la piccola
mascareta ondeggiando ci porta là dove vogliamo arrivare. Sono
più rilassata, i piedi poggiano ancora sul fondo della
mascareta e non sul fondo della laguna.
Ci
spostiamo su acque meno movimentate e Lui mi dice, vieni a
poppa. Mi fornisce le indicazioni indispensabili, poi si sistema
a prua con il corsista/prodiere e gli spiega come si tiene un
remo, come si mette in acqua, quale posizione tenere.
E
io?.... Mi risponde: rema! Comincio a remare. Mi viene in mente la
filastrocca giro giro tondo. Imperterrito Lui mi guarda ma mi
lascia fare. E dopo aver ostinatamente provato, comincio ad
andare avanti, prima a zig zag, poi sempre meno, e parole come
premere, staìr, siàr, tirar acqua e dar zò, prendono sempre
più significato concreto. La barca va avanti. Io a poppa e
Stefano a prua. Lui ci corregge, ci incoraggia, ci guida.
Stiamo
procedendo verso Forte
Marghera, l’acqua è ferma, piccole increspature le solleva
qualche natante a motore di passaggio che fortunatamente
rallenta. Sento che il ruolo del Pope mi si adatta e così cerco
conferme alla mia supposizione alla lezione successiva, convinta
di salire sulla “Sisa”.
Ma
a quanto parte il destino mi è avverso. Sono sul “Pino”.
E’ la resa dei conti.
Con
l’allievo prodiere Umberto e la guida del sapiente insegnante
Roberto sfido il traditore. Questa volta non mi avrà. Comincio
a remare. Roberto non sa che ho un conto in sospeso e che se non
riesco a chiudere questa faccenda è a rischio il mio futuro da
barcaiola da remo.
Sono un po’ incerta, vedo la prua a dritta,
e poi a sinistra e poi ancora a dritta. Roberto mi spiega perché.
Secondo me anche il traditore ci mette lo zampino.
Ascolto i
suggerimenti, un fià premando e un fià stagando, il Pino
diventa sempre più docile. Ci spingiamo con tutte le altre
barche fino al Laguna Palace Hotel e poi ritorno. E’
andata,
il corso è finito… e il pensiero che un giorno potrò vogare
con sicurezza albeggia nella mia mente in attesa di essere, con
la pratica, confermato, e non conta “se
el remo in forcòla sigòa” su
mascareta, sandolo, sampierota
o pupparin.
Antonella
Ballarin
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